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Rosario Romeo, un liberale che leggeva Marx

27/09/2021 da Sergio Casprini

Dino Messina Corriere della Sera 27 settembre 2021

In un Paese che ha sempre lamentato la carenza di cultura liberale, Rosario Romeo (1924-1987) è stato una figura di eccezione, perché capace di confutare l’egemonia marxista del secondo dopoguerra non soltanto in punto di dottrina, ma sul campo solido della ricerca storica. Ora un suo allievo, Guido Pescosolido, il maggiore studioso attuale del meridionalismo, ne traccia un ampio profilo biografico per gli Editori Laterza, Rosario Romeo. Uno storico liberaldemocratico nell’Italia repubblicana (pagine 370, 30). In pagine chiare, fitte e appassionate, Pescosolido allarga la ricerca avviata nel 1990 in un breve scritto, usando materiali inediti provenienti dall’archivio famigliare e dai vari fondi.

Figlio di un notaio siciliano, Rosario Leonardo, e di una donna di notevoli doti intellettuali, Teresa Patané, il giovane Romeo si segnala sin da giovanissimo come un fuoriclasse. A 14 anni legge il Medioevo di Gioacchino Volpe, da autodidatta affronta Il Capitale di Karl Marx, nel 1942 si trasferisce a Roma per seguire le lezioni di Volpe. Le vicende di guerra lo portano a rientrare in Sicilia, dove incontra Nino Valeri, nominato professore all’Università di Catania. Sotto la sua influenza scriverà il primo dei suoi libri, rielaborazione della tesi di laurea, Il Risorgimento in Sicilia, un saggio nato anche per rispondere alle tesi separatiste di Finocchiaro Aprile. In quel primo saggio si rivelano le qualità emerse nei lavori successivi: il rigore della ricerca, l’attenzione ai fatti politici ma anche al contesto economico, tanto da subire un attacco da Panfilo Gentile che lo accusa di filomarxismo. In realtà Gentile ha frainteso il discorso di Romeo, che in un’opera successiva, Risorgimento e capitalismo, maturata durante la collaborazione con la rivista «Nord e Sud», sferra un attacco micidiale alle tesi di Emilio Sereni, autore del Capitalismo nelle campagne, ma soprattutto ad Antonio Gramsci.

Il nucleo della tesi di Romeo è che una rivoluzione agraria avrebbe rallentato e non favorito il processo risorgimentale (difficile ipotizzare l’appoggio della Francia in presenza di una rivoluzione sociale) e che comunque la diffusione della piccola proprietà contadina avrebbe impedito il processo di accumulazione primaria di cui parlava Marx nel III libro del Capitale. Insomma, Romeo usa Marx contro i marxisti. Non c’è qui lo spazio per rievocare il dibattito che l’opera suscita anche a livello internazionale, né possiamo parlare degli importanti studi sul Cinquecento e la scoperta delle Americhe.

Nel 1954, a trent’anni, Romeo ha già vinto il concorso di libero docente, e nel 1955 gli è assegnata una cattedra all’università di Messina. Nessuna meraviglia, dunque, che quando Federico Chabod, direttore dell’Istituto di studi storici fondato da Benedetto Croce, deve indicare un nome per una biografia di Cavour commissionata dalla Famiglia Piemonteisa di Roma, fa il nome del suo collaboratore Romeo. Per questi comincia un’avventura durata un quarto di secolo, che lo porta a scrivere i tre volumi dell’opera definitiva sullo statista piemontese e che lo consacrano quale maggiore studioso del Risorgimento.

Pescosolido non trascura le battaglie politiche e giornalistiche del maestro, la collaborazione con il «Corriere», il passaggio al «Giornale» dopo un duro scambio di lettere con Piero Ottone, l’impegno in politica e nel Partito repubblicano, fino all’elezione al Parlamento europeo nel 1984 e alla prematura scomparsa tre anni dopo.

 

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