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Risorgimento e modernizzazione

10/07/2011

“La macchina a vapore è una scoperta che non si saprebbe confrontare, per la grandezza delle sue conseguenze, che a quella della stampa o meglio ancora a quella del continente americano. L’influenza delle ferrovie si estenderà su tutto l’universo. Nei paesi giunti ad un alto grado di civiltà, esse daranno all’industria una spinta immensa; i loro risultati economici saranno fin dall’inizio magnifici e accelereranno il movimento del progresso della società. Ma gli effetti morali che ne devono risultare, ancora maggiori ai nostri occhi dei loro effetti materiali, saranno soprattutto notevoli nelle nazioni che, nel cammino ascendente dei popoli moderni, si trovano in ritardo. Per esse le ferrovie saranno più di un mezzo per arricchirsi; saranno un’arma potente, con l’aiuto della quale esse giungeranno a trionfare delle forze ritardatrici, che le mantengono in una condizione funesta di infanzia industriale e politica”. Cavour

Nelle biografie del conte di Cavour scritte da Rosario Romeo e da Luciano Cafagna ci sono pagine illuminanti sulla sua formazione culturale di politico e di economista, aggiornato su tutte le novità dei processi di industrializzazione e di modernizzazione dei paesi europei, in particolare della Francia ed dell’Inghilterra, novità che scopriva di persona con  frequenti viaggi in quelle due nazioni negli anni ’30 dell’ottocento.

Quindi non c’è da meravigliarsi se Cavour abbia sempre avuto l’interesse per l’allargamento della rete ferroviaria, sul quale in quegli anni si concentravano i più grandi affari finanziari e industriali d’Europa. Tanto più che anche in Piemonte venivano allora a maturazione iniziative da tempo rimaste allo stato di proposte. Il Regno sardo giungerà agli anni della rivoluzione del 1848 con un importante bilancio di dibattiti e di progetti:
in quegli anni non funzionava altro che un breve tronco ferroviario, tra Torino e Moncalieri, di nessun interesse economico.  Negli anni seguenti si ebbe invece un’attività molto intensa, con l’intervento di capitali e di tecnici stranieri, che condurrà ad aprire ardite comunicazioni fra la capitale subalpina e Genova, Novara, Susa.  Alla vigilia dell’Unità nel Regno sardo si contavano quasi mille chilometri di ferrovie, più che in tutti gli altri Stati italiani presi insieme, con importanti opere, impianti, installazioni fisse.  Come è noto, la domanda di vetture, carri, locomotive, pezzi di ricambio, fu all’origine della nascita di alcune fabbriche le quali, a Torino e in Liguria, avrebbero seguitato ad occupare un posto importante nella storia industriale italiana.

Il traforo  del Frejus  è un tunnel ferroviario che collega la Francia con l’Italia e fu aperto al traffico ferroviario nel 1871.

Il 31 agosto 1857, il re Vittorio Emanuele II ordinò l’inizio dei lavori di scavo del tunnel con un finanziamento di 42 milioni di lire. La cessione della Savoia alla Francia da parte del Piemonte nel 1858 mise in forse il proseguimento dell’opera e fu Cavour  a far proseguire l’opera.

L’opera era tecnicamente molto complessa, ed il lavoro nel cantiere rischioso tanto che alla fine dei lavori si contarono 48 morti fra i circa 4.000 operai che prestarono il loro lavoro. 18 dei caduti però non furono vittime di incidenti ma di una epidemia di colera scoppiata nel 1864. Il numero dei decessi, per quanto significativo, è contenuto se confrontato ad altre imprese simili compiute negli anni successivi.

Nonostante la mancanza di tutele sindacali e tantomeno di garanzie su eventuali dissesti idrogeologici in quegli anni nessuno mise in dubbio il valore dell’opera nel suo significato di progresso e di unione tra  la comunità francese e quella italiana ed infatti un monumento del 1879 in piazza dello Statuto a Torino ne è appunto testimonianza e celebra i tre ingegneri che hanno progettato il traforo.

Paradossalmente a 150 anni dall’Unità d’Italia un opera simile in Val di Susa, sicuramente più complessa sul piano tecnico, ma anche con maggiori garanzie per la sicurezza degli operai e del territorio viene osteggiata dalla comunità locale, negando in maniera irrazionale quel processo di modernizzazione dell’Italia che negli anni del Risorgimento andava di pari passo con la lotta per l’indipendenza nazionale.

Il piemontese Cavour  nei suoi ideali di progresso tradito dai suoi stessi corregionali!

Con amarezza si può solo dire per l’ennesima volta, citando i vangeli, che Nemo propheta acceptus est in patria sua!

Nella foto: Strada ferrata di servizio per il trasporto di materiale ai tempi della costruzione del Canale Cavour

Pubblicato in: Focus
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