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Per un passato nazionale occorre anche la monarchia

17/04/2012 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Rubrica delle lettere al Corriere della Sera

Perché la Repubblica in Italia ha mantenuto i corazzieri, il Quirinale, ed espone in questo palazzo —che già fu sede dei papi e dei re— una mostra meravigliosa sulla regina Margherita? Non dimentichiamoci le notevoli cifre profuse per la rivalorizzazione delle regge sabaude di Venaria, di Racconigi e di Stupinigi. Qualcosa avrà ben lasciato la nostra tanto vituperata monarchia!  Sergio Boschiero

Caro Boschiero,
Quando divenne monarchico, Francesco Crispi disse alla Camera, rispondendo indirettamente a Mazzini, che «la monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe». Oggi una improbabile restaurazione monarchica avrebbe l’effetto opposto: spaccherebbe il Paese. Ma questo non esclude che lei abbia almeno in parte ragione. La monarchia ci appartiene, fa parte della nostra storia nazionale, è indissolubilmente legata alla vicenda risorgimentale. Non è giusto identificare la dinastia con le sue pagine peggiori e permettere che alcuni avvenimenti proiettino una luce negativa anche sulle fasi storiche nelle quali i Savoia hanno rappresentato, persino per chi avrebbe preferito uno Stato repubblicano, l’unità nazionale.
Vittorio Emanuele III non fu soltanto il re che firmò le leggi razziali nel 1938. Fu anche il sovrano che assecondò la politica riformatrice di Giovanni Giolitti nel 1900, rimase al fronte per tutta la durata della Grande guerra, ispirò la rinascita morale del Paese dopo Caporetto. Umberto I non fu soltanto il re degli stati d’assedio in Sicilia e a Milano. Fu anche il sovrano che, insieme a Margherita, creò lo stile, i riti e le rappresentazioni di una monarchia che non poteva più essere soltanto piemontese. E Umberto II fu il re che lasciando l’Italia per l’esilio, ebbe il merito di evitarle il rischio di una guerra civile. Possiamo continuare a discutere sul ruolo dei Savoia durante il ventennio fascista, sulla firma delle leggi razziali e sulla fuga di Pescara, ma non possiamo condannare a una sorta di proscrizione perenne tutti coloro che hanno creduto nella monarchia e hanno combattuto nel suo nome.
Un Paese è nazione soltanto quando accetta il proprio passato e assume per tutto ciò che è accaduto nella sua storia una responsabilità collettiva. Finché questo non accadrà tutti gli italiani, anche quelli di più sicure convinzioni repubblicane, saranno privi di una storia veramente nazionale e saranno nella condizione di orfani o figli di divorziati. Credo che i tempi siano ormai maturi per un recupero dell’intero passato italiano e mi sembra che qualche passo in questa direzione sia stato fatto l’anno scorso grazie ad alcuni gesti del presidente della Repubblica nelle celebrazioni per il 150˚ anniversario dell’Unità.

Sergio Romano

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