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Pavone oltre la «guerra civile» L’Italia in prospettiva europea

20/11/2020 da Sergio Casprini

Contributi su Risorgimento, fascismo e memoria curati da David Bidussa (Bollati Boringhieri)

Marcello Flores  Corriere della Sera 19 Novembre 2020

Claudio Pavone è conosciuto quasi esclusivamente per la sua fondamentale opera Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza (Bollati Boringhieri), che nel 1991 innovò e rovesciò, accompagnato da aspre polemiche, la lettura storica del fenomeno resistenziale, abbandonando del tutto la narrativa retorica e trionfalista che aveva a lungo dominato nel nostro Paese.

Quando scrisse quell’opera magistrale Pavone aveva settant’anni, a testimonianza di quanto aveva sempre sostenuto Edward H. Carr e cioè che gli storici danno il meglio di sé stessi — al contrario dei matematici — in età matura e avanzata. Pavone, però, era già uno storico affermato, anche se aveva passato gran parte della sua vita professionale negli archivi, di cui era diventato uno dei massimi dirigenti. Adesso Bollati Boringhieri pubblica nel libro Gli uomini e la storia cinque saggi che Pavone scrisse tra il 1964 e il 2000 e che caratterizzano i principali ambiti di intervento storiografico in cui lo storico romano aveva offerto  contributi di grande rilievo e importanza.

Come scrive David Bidussa, che questo volume ha voluto e curato con grande capacità e passione, si tratta di testi «significativi soprattutto per i cantieri di lavoro che aprono più che per le conclusioni che fissano». I temi presenti, ognuno di essi declinato non in termini generali, ma con approfondimenti e comparazioni che permettono di cogliere l’ampiezza della curiosità intellettuale, oltre che della conoscenza storica, di Pavone, sono: il Risorgimento, la continuità dello Stato tra fascismo e democrazia, i caratteri della «zona grigia» (e cioè quella maggioranza della popolazione che ha avuto in Europa un atteggiamento prevalentemente passivo negli anni della guerra e delle Resistenze), il fascismo e la sua definizione di totalitarismo per meglio definire la natura del suo regime, la memoria e il modo in cui si possono conservare e ricordare le cose in un rapporto non facile.

Su ognuno di questi temi la riflessione storiografica di Pavone ha avuto anche una ricaduta importante nell’ambito del dibattito pubblico, venendo spesso utilizzata non solo in ambito accademico e scientifico, ma nelle polemiche che — proprio su questi temi più che su altri — hanno periodicamente accompagnato il modo con cui l’Italia ha fatto i conti con il proprio passato e con la propria storia.

I suggerimenti interpretativi che Pavone avanza su ognuno di questi grandi temi relativi alla storia italiana (vista sempre, però, in un’ottica comparativa europea) restano ancora oggi, per molti aspetti, decisivi e attuali, e sempre utili anche quando la ricerca ha fatto passi ulteriori. In ognuno di essi si ritrova quella tensione tra impegno morale e civile e ricerca storica professionale, tra partecipazione alla vita pubblica e coinvolgimento pieno nella didattica e nello sforzo educativo, senza dimenticare la necessità di «raccontare» la storia in modo che essa possa rafforzare la sua capacità di comprensione e spiegazione del passato.

Per Pavone narrare, ci ricorda Bidussa, «è importante non solo e non tanto per ciò che si dice, ma per l’ambiente umano all’interno del quale si cala il racconto che corrisponde a un bisogno, che indica stati d’animo, ma che è anche connesso con la costruzione di immagini o di vissuti collettivi».

È in questo, nel modo in cui la narrazione storica risponde agli interrogativi che le pone il presente, che si può operare quel passaggio di conoscenza e di memoria del passato tra diverse generazioni, di cui Pavone è stato un grande maestro come sanno tutti quelli che hanno avuto la fortuna di averlo come tale.

 

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