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Dove si trova Padova?

01/09/2019 da Sergio Casprini

…Al di là delle apparenze Destra e Sinistra insieme,  sono entrambe convinte che la scuola debba servire alla società e a preparare al mercato del lavoro. Entrambe d’accordo nel riempirla di scartoffie e di burocrazia, di lavagne digitali, di famiglie saccenti, di democraticismi demagogici, di «successo formativo» obbligatorio, di circolari insulse in anglo-italiano. Per tenere lontano i «Barbari» forse sarebbe bastato a suo tempo lasciare nei programmi la Storia e la Geografia invece di ridurre entrambe ai minimi termini o di cancellarle del tutto…

Ernesto Galli della Loggia  OTTIMATI CONTRO BARBARI  Corriere della Sera  19 Agosto 2019

 

Se un docente di Storia dell’arte chiedesse a una classe delle scuole superiori dove si trova Padova, sede degli splendidi affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, probabilmente solo pochi risponderebbero correttamente che è una città del Veneto.

Gli studenti italiani spesso ignorano la storia e la geografia del loro Paese, e meno ancora sanno individuare stati e città del mondo su una carta geografica, per non parlare di fiumi, laghi e monti, pur essendo dotati di smartphone e quindi di Google Maps o simili. Solo fatti drammatici e tragedie ambientali, veicolate tramite i social, possono risvegliare emotivamente la necessità di documentarsi. Così hanno scoperto che Hong Kong si trova in Cina dopo le imponenti e recenti manifestazioni dei giovani della metropoli asiatica o che le foreste amazzoniche appartengono allo stato del Brasile dopo i rovinosi incendi degli ultimi tempi.

Non si tratta di rimpiangere i tempi in cui sulle pareti di un’aula accanto alla lavagna c’era una carta geografica – talora invecchiata – dell’Italia  o dell’Europa, con gli studenti costretti a portare a scuola pesantissimi atlanti, mentre lucenti mappamondi arredavano le loro stanze. Ben vengano in classe nuove strumentazioni digitali, dalle lavagne interattive alle postazioni internet, a condizione però che a scuola si ricominci a studiare seriamente la geografia e la storia e che il docente torni ad avere un ruolo determinante nel processo formativo dei suoi allievi.

Il degrado culturale nel nostro Paese, che da tempo Ernesto Galli Della Loggia denuncia nei suoi libri e negli editoriali del “Corriere della Sera”, è partito dai banchi di scuola e ha raggiunto purtroppo anche i banchi di chi ci rappresenta in parlamento. In questo reciproco rispecchiarsi tra élite e popolo, l’ignoranza dei fondamenti culturali della nostra identità nazionale, dalla geografia alla storia alla nostra lingua madre, tende a far sparire progressivamente le giuste distanze tra cittadini e classe dirigente.

Nel mese scorso il Senato ha approvato in via definitiva la reintroduzione dell’educazione civica nelle scuole a partire da quest’anno. Questa disciplina è nata per fare diventare i giovani buoni cittadini attraverso la conoscenza delle leggi fondamentali del nostro Paese, a partire dalla Costituzione, e per renderli consapevoli dei diritti e dei doveri che spettano sia a chi è nato in Italia, sia a chi, figlio di migranti, ci vive e ci studia. Perché sia efficacemente studiata e assimilata l’educazione civica ha però bisogno del supporto della storia e della geografia. Tanto più che non si tratta solo di “cultura generale”, ma della base indispensabile per comprendere la discussione pubblica. Prendiamo il dibattito, spesso a dir poco superficiale, sull’immigrazione. Cosa se ne sa, in generale, dei paesi da cui partono i migranti, della loro cultura, della mentalità, dell’economia e quindi anche dei problemi che si possono porre nei paesi di arrivo? E quando sento l’espressione “Porti aperti, confini chiusi”, che in maniera sintetica ma efficace indica una posizione che cerca di essere equilibrata fuori da logiche faziose e ideologiche, confesso che come cittadino italiano mi chiedo: siamo proprio sicuri che le nuove generazioni conoscano i confini della loro Patria?

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