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Musica e Risorgimento

23/04/2011 da Adalberto Scarlino

Il concerto del Conservatorio Cherubini,  promosso tra gli altri dal Comitato Fiorentino del Risorgimento, si è tenuto  mercoledì 19 aprile a Santa Croce.

Musica e Risorgimento vivono insieme nell’Ottocento, l’una alimentando l’altro e viceversa. Non solo in Italia, ma, per esempio, a Bruxelles, dove, nel 1830, la rappresentazione de La muta di Portici di Daniel Auber, ricca di motivi esaltanti lo scontro tra libertà e oppressione, infiamma il pubblico e accende l’insurrezione che porterà alla nascita del regno indipendente del Belgio.

Un anno prima era stato il nostro Gioacchino Rossini a proporre, nella sua ultima opera, il Guglielmo Tell, del 1829, la figura e le imprese dell’eroe svizzero, combattente contro gli Asburgo per l’indipendenza, la libertà, la

costituzione elvetica. E già nel 1818, a Napoli, la prima rappresentazione di

Mosè aveva raccontato in musica la storia del liberatore di un popolo

schiavo, che invoca l’aiuto di Dio per la desiderata libertà. Musica e parole

del sublime coro “Dal tuo stellato soglio” risuoneranno per tutto il secolo:

dal 1822, quando a “La Fenice” si manifesterà la commozione dei veneziani

fin dalle prime note della preghiera, al 1887 quando, in piazza Santa Croce,

i bambini delle scuole fiorentine accompagneranno con quel canto la

traslazione della salma di Rossini nel “tempio delle itale glorie“.

Dello stesso periodo è la Norma di Vincenzo Bellini che, su libretto di Felice

Romani, narra lo scontro tra i Druidi e i Romani invasori delle Gallie. Il coro

del secondo atto “guerra, guerra” (allegro feroce è l’annotazione di pugno

di Bellini) sarà cantato dal pubblico in piedi, quasi dichiarazione volontaria

– di guerra, appunto – contro lo straniero occupante; fino a provocare,

nelle rappresentazioni a La Scala – narrano le cronache – ripetuti incidenti

tra gli spettatori italiani e la guarnigione austriaca.

Per non parlare de I Puritani, l’opera composta a Parigi, su libretto di Carlo

Pepoli, il patriota in esilio dopo i moti del 1831. Brano culminante il duetto

del secondo atto, “Suoni la tromba e intrepido / io pugnerò da forte: / bello

è affrontar la morte / gridando libertà”, che scatena il delirio a Parigi – è lo

stesso Bellini, entusiasta, che lo racconta in una lettera all’amico napoletano

Francesco Florimo – nel Teatro Italiano affollato per l’occasione.

“Parlavano “ di libertà, negli stessi anni, le composizioni pianistiche di

Fryderyk Chopin, da alcune mazurke allo Studio in do minore op. 10 n. 12,

detto “della rivoluzione”, dedicato dal musicista ai compatrioti polacchi

insorti per ottenere l’indipendenza dai Russi, stranieri occupanti.

Musica e Risorgimento voglion dire, sopra tutti, Giuseppe Verdi. Gli Italiani

sottomessi ai governi assoluti egemonizzati dall’impero austriaco si riconoscono

negli ebrei schiavi di Nabucodonosor. L’opera su libretto di Temistocle

Solera, rappresentata a La Scala nel marzo del 1842, ottiene lo strepitoso

successo che segna l’inizio della trionfale carriera artistica del maestro

di Busseto. I versi “Arpa d’or dei fatidici vati, / perché muta dal salice pendi”,

nati dal Salmo 137 dell’Antico Testamento, diventano popolari con

l’immortale melodia verdiana, per arrivare, nel secolo successivo, fino alla

poesia di Quasimodo, Alle fronde dei salici, a dire il significato eterno della

rivendicazione di libertà.

Dal Nabucco ai Vespri Siciliani, da Ernani a Giovanna D’Arco, da Rigoletto fino

al Macbeth del coro “Patria oppressa”, l’opera rappresentata proprio a

Firenze, a La Pergola, sotto la direzione dello stesso Verdi, le note e le parole

della musica – affidate, nei momenti più intensi, al canto del coro – si diffondono

all’unisono con gli ideali e la storia del nostro Risorgimento.

Musica e patriottismo: l’acronimo verrà naturale: viva Verdi, viva Vittorio

Emanuele Re Di Italia. Espressione di una volontà, di una scelta, di una

preferenza per le libertà statutarie, garantite dalla monarchia costituzionale

dei Savoia e da un Parlamento eletto, animato dalla geniale opera

politica del conte di Cavour, del quale Verdi è estimatore dichiarato. Così

come è estimatore, deciso, convinto, di Alessandro Manzoni. Versi manzoniani

e musica verdiana: stesso ritmo. Marzo 1821: “… O stranieri, nel

proprio retaggio / torna Italia e il suo suolo riprende; / o stranieri, strappate

le tende/ da una terra che madre non v’è”. Rigoletto: “… Sì, vendetta,

tremenda vendetta / di quest’anima è solo desio… / di punirti già l’ora

s’affretta, / che fatale per te suonerà”. Poesia e opera, stessa denuncia,

stesso incitamento.

E, tra il poeta e il musicista, altre indimenticabili, esemplari consonanze:

Carme in morte di Carlo Imbonati: “non ti far mai servo: / non far tregua coi

vili…” Rigoletto: “Cortigiani, vil razza dannata…”

L’affetto, l’ammirazione di Verdi per Manzoni sono autentici. Profondo,

dunque, il dolore del Maestro per la morte del grande romanziere e poeta.

Da tali sentimenti nasce la Messa da Requiem, il capolavoro che resta documento

straordinario della capacità di compositore e insieme della sensibilità

umana e artistica di Giuseppe Verdi.

 

Adalberto Scarlino

 

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