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L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA GLI INTERVENTISTI E LE LORO RAGIONI

12/07/2014 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

copertinaSui giornali in questi giorni ricorre spesso l’attentato di Sarajevo, che diede origine alla Grande Guerra, ma non ho trovato traccia delle responsabilità dei nostri Futuristi, Papini compreso. I sostenitori del bellicismo non sono affatto scomparsi, anche se si mascherano sotto mentite spoglie. L’Europa di oggi presenta molte analogie con tale periodo prebellico. Riemergono vari nazionalismi (Nord – Sud, Est- Ovest, Russia – Ucraina e via di seguito). Forse la storia ha insegnato ben poco e dimentichiamo che, solo dopo che le guerre si sono fatte, ci si accorge che se ne poteva benissimo fare a meno.

Piero Campomenosi

Caro Campomenosi,

quasi tutti i futuristi furono interventisti, molti furono volontari e alcuni (fra cui un grande architetto, Antonio Sant’Elia) morirono al fronte. Ma i «responsabili», come lei ama definirli, furono molto più numerosi. Nella folta pattuglia degli interventisti vi furono socialisti espulsi qualche anno prima dal partito, come Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi, e quelli che ne verranno espulsi dopo l’inizio della Grande Guerra come Benito Mussolini. Vi furono sindacalisti rivoluzionari come Edmondo Rossoni e Filippo Corridoni. Vi furono democratici e liberali come Gaetano Salvemini, Giuseppe Antonio Borgese, Giovanni Amendola, Luigi Albertini. Vi furono i nazionalisti dell’Associazione creata da Luigi Federzoni. Vi furono infine molti esponenti dell’Italia «irredenta» da Cesare Battisti a Nazario Sauro E vi fu il più noto poeta italiano: Gabriele D’Annunzio. Piuttosto che considerarli «responsabili» dovremmo chiederci perché tante persone, provenienti da orizzonti culturali alquanto diversi, abbiano ritenuto che l’Italia avesse buone ragioni per intervenire nel conflitto. Per i futuristi, la guerra, come avevano scritto sul loro manifesto, era «la sola igiene del mondo», il salutare scossone che avrebbe reso l’Italia più giovane e dinamica. Per i nazionalisti era l’occasione che le avrebbe permesso di completare la sua unificazione e divenire infine grande potenza. Per i realisti moderati era il prezzo che l’Italia doveva pagare per sedere al tavolo della pace e impedire che i nuovi equilibri, alla fine del conflitto, venissero decisi dietro le sue spalle. Per i democratici infine era una guerra contro il militarismo degli imperi centrali. Avrebbe stroncato le ambizioni egemoniche della Germania imperiale, avrebbe liberato i popoli dell’Impero asburgico e realizzato il sogno mazziniano di una «Europa delle nazioni». Per i rivoluzionari avrebbe sovvertito l’ordine delle gerarchie sociali e favorito l’ascesa del proletariato. Mai tanti uomini combatterono (e morirono) insieme per fini così diversi. Mai tanti idealisti scoprirono alla fine del conflitto di avere fatto la scelta sbagliata.

Sergio Romano

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