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L’irredentista in camicia nera che pretendeva la Dalmazia

19/07/2021 da Sergio Casprini

Il diario del diplomatico Attilio Tamaro pubblicato da Rubbettino a cura di Gianni Scipione Rossi

 

Giovanni Belardelli Corriere della Sera 19 luglio 2021

Chi conosce il nome di Attilio Tamaro ( Trieste,  1884 – Roma, 1956), lo ricorderà probabilmente come l’autore di due storie del fascismo (della Repubblica sociale e del ventennio) che ebbero una certa diffusione tra gli anni Quaranta e Cinquanta e negli ambienti della destra più o meno nostalgica. Si trattava di opere, pubblicate inizialmente a dispense illustrate, molto informate sul piano della ricostruzione fattuale e che qua e là prendevano le distanze da aspetti anche rilevanti del regime (come le leggi razziali). Ma Tamaro, giornalista e diplomatico di professione, fu anche un osservatore attento della vita italiana del suo tempo, annotando fatti, incontri, informazioni più o meno riservate in un diario che tenne dal 1911, quando non era ancora trentenne, fino ai primi anni della Repubblica.

Attilio Tamaro Il diario di un italiano 1911 – 1949, Rubbettino, 1066 pagg., 49 euro

Nel diario Tamaro registrava con maniacale precisione fatti ed episodi appresi direttamente o attraverso la vasta rete delle sue conoscenze (impressionante, al riguardo, l’indice dei nomi di oltre sessanta pagine preparato dal curatore, che vi ha elencato tutte le persone citate, di ciascuna indicando la qualifica), sicché il volume si presenta come una fonte di rilievo per lo studio di quattro decenni di storia italiana. Ciò non toglie che certe parti — ad esempio, il resoconto di un viaggio a Mosca nel 1934, le pagine sulla città di Roma occupata dai tedeschi e poi liberata dagli Alleati — si facciano apprezzare anche per l’immediatezza di alcune descrizioni e per la qualità della scrittura.

L’irredentismo fu il filo conduttore della vita di Tamaro, sempre legatissimo alla sua città natale alla quale dedicò anche vari lavori storiografici. Il suo fu però un irredentismo che aveva tratti di vero e proprio fanatismo, mutuati dal proprio avversario, cioè dall’altrettanto radicale e fanatico nazionalismo sloveno e croato.

Date queste premesse, il risultato della Prima guerra mondiale deluse il giovane triestino, che avrebbe voluto che non solo Trieste e l’Istria, ma l’intera Dalmazia venissero assegnate all’Italia nella prospettiva di un Adriatico che secondo lui avrebbe dovuto essere interamente italiano. Il suo era un patriottismo tutt’altro che mazziniano, insomma, che si legava a un’esaltazione dell’idea nazionale in chiave imperialista e militarista.

Fu dunque del tutto naturale la sua adesione al fascismo, che Tamaro apprezzava soprattutto come il mezzo, lo strumento pratico, per rendere più grande — in termini di potenza e di confini (europei africani) — l’Italia. Da questo punto di vista il diario può anche essere letto come una specie di biografia collettiva di un settore importante del Paese, di quella parte d’Italia che diede il suo consenso al movimento e al regime di Benito Mussolini a partire da posizioni e sentimenti nazionalisti (e monarchici).

Nel diario si trova continua testimonianza di questo fascismo che si voleva non ideologico e potrebbe anche sembrare relativamente moderato, perché non apprezzava le pose staraciane e le velleità totalitarie del regime. In realtà anche questo fascismo apparentemente «realista» e «pragmatico» era impregnato di forti elementi ideologici, benché diversi da quelli del fascismo più sovversivo e antiborghese che animava altre correnti del regime. Aveva al centro, infatti, un’ideologia apertamente antidemocratica (già nel 1920 Tamaro scrisse un saggio sulla Necessità della dittatura) che considerava la libertà un pericolo per la nazione e vedeva nelle regole della democrazia rappresentativa l’inaccettabile prevalenza della «forza bruta del numero».

È del resto molto indicativo che ancora nel marzo del 1943 Tamaro, nonostante registrasse da tempo nel suo diario i difetti del regime (anzitutto in termini di corruzione e impreparazione militare rispetto alla prova bellica in corso), non arrivasse a comprendere come la radice ultima di quei difetti stesse nelle premesse antidemocratiche del fascismo, che lui aveva condiviso e ancora condivideva fino al punto di dichiararsi contrario a un’emarginazione di Mussolini.

Non ultima tra le ragioni di interesse di questo diario è quella di mostrare i motivi che, dopo il 1945, avrebbero reso a lungo difficile o impossibile a molti italiani staccarsi dall’esperienza e dal ricordo del regime fascista.

 

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