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La lezione del Referendum in Scozia: no alle piccole patrie, sì allo stato nazionale.

01/10/2014 da Sergio Casprini

copertina editorialeIl Referendum per l’indipendenza della Scozia, con il quale si è deciso se la Scozia dovesse o meno separarsi dal Regno Unito per divenire uno stato indipendente, svoltosi il 18 settembre scorso ha visto la vittoria degli unionisti con 2.001.926 voti, pari al 55,3% dei votanti.

Non è stata certo una vittoria schiacciante ma se si pensa alle previsioni della vigilia che vedevano un trend positivo per le ragioni dei separatisti il risultato elettorale ha dimostrato quanto sia ancora forte il sentimento di identità nazionale soprattutto nelle zone rurali della Scozia, dove il sì ha avuto una larga maggioranza rispetto al voto più incerto nei grandi centri urbani. Il popolo scozzese ha dimostrato maggior buon senso e lungimiranza politica rispetto alla sua elite politica e culturale!

Anche in Italia, se ipotizzassimo un eventuale ed attualmente remoto referendum per l’indipendenza della Padania– per inciso la Lega e non a caso ha sponsorizzato le ragioni degli indipendentisti scozzesi-, i piemontesi, i lombardi ed i veneti voterebbero certamente a larga maggioranza contro, perché ormai da tempo si sentono a pieno titolo cittadini italiani e non vorrebbero indebolito lo stato nazionale, ma anzi lo vorrebbero rafforzato anche nell’ambito dell’unità europea.

I valori dell’Unità e dell’Indipendenza sono il vero lascito del Risorgimento italiano ed hanno accompagnato da sempre la storia del nostro Paese anche negli anni bui del Fascismo.

E solo in questa ottica ha senso celebrare la Resistenza del 1943/44 come secondo Risorgimento quando infatti i partigiani combattevano per la liberazione dai nazi-fascisti e per il riscatto dell’orgoglio nazionale all’indomani dell’Otto settembre.

C’e stato invece chi, prima e dopo Gramsci, ha interpretato il Risorgimento come una rivoluzione incompiuta, in quanto non si sarebbe concretizzata in quel processo storico che avrebbe dovuto portare verso“le magnifiche sorti e progressive”, verso “ il sol dell’avvenire” ed ad un’Italia repubblicana e socialista, non sapendo o volendo cogliere le ragioni profonde e costitutive di un movimento politico nato fondamentalmente per ridare l’Unità, l’ Indipendenza e la Libertà all’Italia.

Il prossimo anno verrà ricordato il centenario della Grande Guerra e già si parla per le centinaia di migliaia di morti in tutti i fronti del conflitto di inutile strage, come la definì il papa di allora Benedetto XVI, e quindi si corre il rischio che questo evento venga ricordato solo come una storia criminosa di nazioni imperialiste che portarono al massacro i loro popoli.

Invece in una chiave di lettura realmente storica e non pregiudizialmente ideologica, negli anni della prima guerra mondiale tra gli interventisti prima e poi tra i fanti in trincea e tra i reduci maturò la consapevolezza che in quel conflitto si portava a compimento l’Unità della Nazione e si radicava sempre di più l’amor di Patria, attuando così i valori e le finalità del Risorgimento.

Le truppe scozzesi e, cioè i battaglioni del reggimento Gordon Highlanders, parteciparono anche esse alla Grande Guerra ed impegnate in tutte le grandi e logoranti offensive sul fronte occidentale, subirono la perdita di 1.000 ufficiali e 28.000 soldati di truppa, contribuendo in modo significativo al successo militare dell’Inghilterra.

E sicuramente il sacrificio di tanti caduti ha rafforzato in Scozia, come si diceva prima per l’Italia, il sentimento di appartenenza allo stato nazionale e cioè al Regno Unito piuttosto che ad una piccola Patria, che persiste nell’immaginario degli scozzesi solo nelle rievocazioni folcloristiche di un lontano passato.

 

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