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In nome degli eroi del Risorgimento

10/01/2021 da Sergio Casprini

Ultimo assalto alla battaglia di San Martino dipinta da Carlo Ademollo, che combatté nelle Guerre del Risorgimento 

Studenti di Lombardia , Piemonte  e Toscana impegnati a dare un’identità a quanti combatterono per l’Italia.
In un database già 380 mila nomi

Alessandro Fulloni Corriere della Sera 10 gennaio 2021

Edmondo De Amicis

Dall’autore del libro Cuore Edmondo De Amicis al pittore macchiaiolo Telemaco Signorini. Poi Arrigo Boito, librettista di Verdi; Pietro Wuhrer, della fabbrica bresciana della birra; Nino Bixio, il luogotenente di Giuseppe Garibaldi. Ma la sterminata lista comprende soprattutto ragazzi dai cognomi qualunque: Rossi, Bianchi, Esposito, Proietti, Trovatelli.

È emozionante cliccare questi nomi in quel motore di ricerca messo a punto dalla Società Solferino e San Martino: contiene l’elenco — con numero di matricola, grado, luogo di nascita, le battaglie — di tutti i soldati risorgimentali che dal 1848 al 1870 presero parte alle tre guerre d’indipendenza e alla presa di Roma.

Le loro identità sono regolarmente messe online — al ritmo di 2.000 al giorno — da un centinaio di studenti del liceo Bagatta e delle paritarie Rogazioniste di Desenzano e degli istituti Gonzaga di Castiglione delle Stiviere , dell’ Annunziata di Torino, , dell‘Accademia di Belle Arti di Firenze, dell’Istituto Maserati di Voghera (PV) e del Liceo Medi di Villafranca di Verona (VR) impegnati a dare un’identità a quanti combatterono per l’Italia. Tutti ragazzi «arruolati» nell’ambito del programma di alternanza scuola-lavoro. E (quasi) coetanei di quei soldati che fecero l’Italia le cui età, stando alla catalogazione, oscillavano tra i 20 e i 25 anni.

Fanti, artiglieri, bersaglieri, carabinieri e cavalieri dell’esercito del regno di Sardegna prima e del regno d’Italia poi. «In tutto 680.000 militari. Per ora siamo arrivati a inserire 380.000 nomi nel nostro database: contiamo di terminare entro l’anno» s’inorgoglisce Bruno Borghi, conservatore del museo della Società esteso in tre siti tra Solferino e Desenzano e che — nei tempi pre Covid — vanta ogni anno una media di 60.000 visitatori. Tra questi «tantissime famiglie di villeggianti in vacanza sul Garda. Molti gli austriaci, certo. Ma anche francesi, ungheresi, tedeschi…».

A questo punto però occorre fare un passo indietro per spiegare l’origine di questo progetto e arriviamo alla sera del 24 luglio 1859. La battaglia di Solferino e San Martino è appena finita. Sì, gli austriaci sono in rotta ma è stata una mattanza «per noi e per loro — prosegue Borghi —. Il conteggio totale è di 40 mila soldati morti, feriti e dispersi». Chi viene colpito ha scarse possibilità di sopravvivere, non ci sono cure, medicine. Tanto che l’uomo d’affari svizzero Henry Dunant che si trovava nei pressi del campo di battaglia per incontrare Napoleone III, sconvolto, avvia un progetto per formare squadre di infermieri volontari. Nasce così la Croce Rossa.

Henry Dunant

I cadaveri vengono gettati nelle fosse comuni e ancora una decina d’anni dopo continuano ad affiorare dai campi. È allora che il prefetto e patriota Luigi Torelli — che per primo sventolò il Tricolore sul Duomo di Milano durante le Cinque Giornate e fu «l’inviato» scelto da Vittorio Emanuele II per le «missioni impossibili» — decide di costruire gli ossari che ospiteranno le spoglie di 11.000 caduti.

Nasce la Società, inizialmente una specie di «associazione veterani» del Risorgimento. «Aiutava gli invalidi, sosteneva le famiglie povere e stilava un elenco di tutti i combattenti» spiega il presidente Fausto Fondrieschi. I registri cartacei, 137 in tutto, finiscono al Museo del Risorgimento di Milano. Un paio d’anni fa viene l’idea di ricordare quelle identità «per renderle disponibili a tutti gli italiani». Ed ecco che i ragazzi delle quattro scuole copiano uno a uno i nomi, li mettono in un foglio excel convertito in una pergamena con grado, matricola, la battaglia combattuta. Sotto ogni voce, compare anche il nome dello studente che ha trascritto le generalità dal registro.

«Qualcosa che resta. E che emoziona» dicono dalla Società.

Il Sito di Solferino

 

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