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Il giustizialismo nella storia italiana

29/10/2011 da Sergio Casprini

La storia non è giustiziera, ma giustificatrice: lo storico non giudica e non fa riferimento al bene o al male.

Benedetto Croce

 

Giovanni Belardelli, storico e collaboratore del Corriere della Sera ha scritto recentemente sul giornale che un consigliere comunale di Milano, Luca Gibillini di Sinistra Ecologia e Libertà, ha proposto di cambiare la denominazione di piazzale Cadorna attraverso un referendum popolare, magari sostituendo a quello del generale che comandò l’esercito italiano fino a Caporetto il nome di Vittorio Arrigoni, il pacifista ucciso a Gaza lo scorso aprile.

Aggiunge inoltre che è l’ennesimo episodio di una guerra della toponomastica da cui bisognerebbe invece rifuggire, anche per evitare che – in un Paese attraversato da umori antirisorgimentali – qualche comune ne tragga spunto per cancellare la sua via o piazza Garibaldi. Nel caso milanese colpisce il fatto che una proposta analoga sia stata avanzata nei mesi scorsi anche in altri luoghi, così da lasciar supporre l’esistenza di un tam-tam anticadorniano destinato forse ad avere seguito. In ogni caso la denuncia delle «teorie militariste» di Luigi Cadorna e della sua colpa di avere «mandato al macello» centinaia di migliaia uomini lascia trasparire, più che un giudizio storico fondato, la riproposizione di vecchie polemiche sul valore e significato da dare alla prima guerra mondiale: fanti italiani condotti al massacro nelle trincee del Carso o eroica conclusione del processo risorgimentale.

In questa guerra ideologica e giustizialista non verrebbe risparmiato neanche il buon Mazzini, che a parer di molti, vedi la sua immagine nel film Noi credevamo, è il precursore dei cattivi maestri e dei terroristi nell’Italia degli anni’70.

Dietro a queste polemiche riemerge periodicamente anche un giudizio falsato sul Risorgimento italiano e sul ruolo dell’esercito piemontese da una parte e i volontari garibaldini e mazziniani dall’altra, dimenticando che i bersaglieri del generale Manfredo Fanti furono indispensabili nelle battaglie della guerra d’indipendenza del 1859, i garibaldini furono i protagonisti indiscussi del successo dell’impresa dei Mille e che insieme  quindi realizzarono l’Unità d’Italia.

Tornando a Luigi Cadorna dobbiamo aver l’onestà intellettuale  di giudicarlo, in maniera non faziosa e soprattutto non manichea, sapendo che nella storia tutti i personaggi presentano nelle loro azioni aspetti contraddittori e vanno comunque calati nel contesto storico in cui hanno vissuto.

Sergio Romano in una risposta ad un lettore anticadorniano in un vecchio articolo del Corriere della Sera del 2006 ne seppe dare appunto un giudizio storico articolato, non viziato da furori ideologici, delineando il profilo di una personalità più complessa rispetto a chi riduce invece i personaggi storici nelle categorie semplicistiche dei buoni o dei cattivi:

… non è possibile giudicare un uomo senza tenere conto dell’ epoca in cui visse e della cultura dominante negli anni in cui ricevette la sua formazione. I generali che comandarono gli eserciti durante la Grande guerra avevano mediamente fra i 65 e i 75 anni: Cadorna e Kitchener erano nati nel 1850, Conrad von Hötzendorf e Hindenburg nel 1847, French e Joffre nel 1852. Nelle loro accademie, all’ inizio della carriera, avevano studiato le battaglie di Austerlitz, Waterloo, Solferino, Sadowa, Sedan. Nessuno di essi era mentalmente pronto ad abbandonare gli schemi tattici e strategici appresi sui banchi della scuola di guerra e negli esercizi di stato maggiore. Nessun esercito europeo conosceva altro stile di combattimento fuorché l’ attacco in massa, l’ assalto alla baionetta, il tiro di sbarramento e la carica di cavalleria. E ogni uomo politico europeo, infine, pensava che la patria, nel momento del pericolo, meritasse il «supremo sacrificio della vita». Gli strateghi della guerra di movimento nacquero dopo il conflitto e furono il risultato della sanguinosa lezione impartita dalla logorante guerra di trincea che uccise, in quattro anni e mezzo, alcuni milioni di uomini. Né Giorgio Douhet, il geniale teorico italiano della guerra aerea, né Heinz Guderian, il brillante inventore tedesco della guerra meccanizzata, sarebbero apparsi sulla scena europea se il conflitto non avesse fatto piazza pulita dei manuali su cui i generalissimi del 1914 e degli anni seguenti avevano imparato il loro mestiere. Cadorna fu peggio degli altri? Molti storici militari non sono di questo avviso. Nella sua «Storia della Prima guerra mondiale», B. H. Liddell Hart scrisse che era «senza dubbio uomo di qualità non comuni, ma, come in altri famosi comandanti, le sue qualità intellettuali erano offuscate dalla mancanza di sensibilità per lo spirito delle truppe combattenti». Con qualche eccezione (fra gli altri il generale Luigi Capello che lo detestava), i suoi colleghi, anche del campo nemico, e molti osservatori dettero di lui un giudizio positivo. Il maresciallo Luigi Caviglia disse che era un «uomo di forte volontà e di carattere fortissimo». Luigi Barzini sr, corrispondente dal fronte per il Corriere, elogiò la sua «chiaroveggenza». In un bel libro,«Isonzo 1917», ristampato dalla Bur nel 2001, Mario Silvestri cita questo giudizio di Henry Wickham Steed, allora direttore del Times: «Dopo il disastro dell’ ottobre 1917 a Caporetto diventò di moda criticare il generale Cadorna e l’ opera dell’ esercito italiano durante il suo periodo di comando. Quello che posso dire io è che tanto a me che a Lord Northcliffe (il proprietario del giornale, ndr) fece l’ impressione di una mentalità quadrata e virile, e certamente non inferiore, in fatto di fibra intellettuale e morale, a nessuno dei comandanti alleati che avevamo conosciuto». Naturalmente potrei citare altri giudizi meno favorevoli. Ma mi premeva dire, che certe sentenze dei posteri rispecchiano la loro diversa sensibilità piuttosto che lo studio e la comprensione del passato. La storia, disse Benedetto Croce, non deve essere giustiziera.

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