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GUERRA E PACE

01/04/2022 da Sergio Casprini

Guernica  Pablo Picasso 1937

Il tragico conflitto in Ucraina, dove al momento le armi della diplomazia sono sopraffatte dall’impiego massiccio di quelle militari da parte dei Russi, aggressori di uno Stato sovrano democratico, ha riproposto alla coscienza degli europei il tema lacerante della guerra, di cui si era ormai persa la memoria dopo i lutti e gli eventi tragici della seconda guerra mondiale
Invero storicamente la continua alternanza di guerra e pace è da sempre la condizione esistenziale delle società umane, nonostante sia solo la pace a permettere la prosperità individuale e collettiva. Pur essendo condizioni eminentemente sociali e politiche, guerra e pace riguardano anche la dimensione antropologica, religiosa e psicologica dell’essere umano: già nel mondo antico, per esempio per il filosofo Platone, era evidente il nesso tra ordine (cioè benessere) dell’anima e ordine della città; così come per lo storico Tucidide, nel racconto della guerra del Peloponneso, era evidente il rapporto tra la dimensione della violenza individuale e le pratiche di guerra, la cui tragica efficacia di fatto nel corso dei secoli è poi progredita di pari passo con lo sviluppo della tecnica.
A partire dal Settecento si svilupparono sempre di più gli scambi commerciali. In Occidente l’interdipendenza economica tra le nazioni favoriva i processi di pace e “ingentiliva i costumi” come scriveva Montesquieu. In un certo senso, per noi il punto di arrivo di questo lungo e tormentato percorso di “ingentilimento”, rafforzatosi in seguito all’estrema distruttività della II Guerra mondiale, è costituito dall’art. 11 della nostra Costituzione, in cui si afferma che L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Date però le condizioni storiche delle attuali società umane, divise tra società aperte e società chiuse, una condizione generale e permanente di pace è da considerarsi sempre possibile, oppure l’uso della forza è legittimo per fermare le aggressioni da parte di eserciti che violano la sovranità e l’indipendenza di un paese, come oggi in Ucraina?
Quando è in gioco il destino della patria le armi non possono tacere, come d’altronde stabilisce anche la stessa Costituzione Italiana nell’art. 52, con il quale si dichiara che la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. E infatti nella storia del nostro Paese questo è successo nei diversi momenti che hanno segnato la conquista della nostra indipendenza e della libertà dal dominio straniero, contribuendo alla costruzione della nostra identità nazionale.

Garibaldi all’assedio di Roma del 1849 Georges Housman Thomas 1854

Basterà citare, tra i molti possibili, la difesa della Repubblica Romana nel 1849, l’orgogliosa riscossa dei nostri fanti dopo Caporetto nel 1917, fino alla Resistenza al nazifascismo nel biennio 1944/45, che si celebra ogni anno il 25 Aprile. I partigiani presero le armi in nome di quei valori di libertà e di democrazia, per i quali avevano combattuto, spesso con sacrificio della loro vita, i patrioti del Risorgimento. E nella celebrazione di quest’anno non potremo quindi non sentirci vicini al popolo ucraino, che combatte contro la potenza militare dell’esercito russo per la libertà e la democrazia del proprio Paese.

In questa guerra, che pure non ci vede coinvolti direttamente né come soldati né come volontari a fianco della resistenza ucraina, non possiamo in nome della pace restare neutrali o equidistanti tra le ragioni dei due belligeranti, ma ricordare sempre la validità ancora attuale delle parole del commissario politico Kim al comandante partigiano nel bel romanzo di Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno: “C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, va perduto, tutto servirà, se non a liberare noi, a liberare i nostri figli”.

Sergio Casprini

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