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Garibaldi ferito dalle sue camicie rosse. Studiosi napoletani: riesumare il cadavere.

06/09/2011 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

di Paolo Barbuto da Il Mattino di Napoli del 3 settembre 2011.

NAPOLI – Sembra la trama di uno di quei serial televisivi nei quali i protagonisti riprendono vecchi casi polizieschi e vanno a cercare il colpevole dopo decenni; solo che in questo caso la vicenda risale a 150 anni fa e il protagonista è uno che ha scritto la storia d’Italia. «Abbiamo studi e documenti: a ferire Garibaldi sull’Aspromonte fu uno dei suoi, una delle camicie rosse. Venne colpito dal fuoco amico, insomma», davanti allo sguardo attonito dei presenti, Gennaro Rispoli riscrive un pezzo della nostra storia.
E lo fa spiegando di non voler creare troppo clamore intorno a questa vicenda. Sessantuno anni, primario chirurgo all’ospedale Ascalesi, motore trainante dell’associazione «Il faro di Ippocrate» che gestisce anche il museo delle arti sanitarie, Gennaro Rispoli è un vulcano di idee e di proposte.
Quando si è trovato di fronte ai dettagli del ferimento del generale s’è incuriosito, ha studiato i reperti, letto i documenti e, da chirurgo con grande esperienza di pronto soccorso a Napoli, e quindi di colpi di arma da fuoco, ha capito che c’era qualcosa che non quadrava. «Sull’Aspromonte, prima dello scontro il generale si rese conto che i suoi uomini erano pochi. Sarebbe stato un massacro. Così impose alle camicie rosse di non fare fuoco, e si frappose fra le due fazioni. Solo che qualche testa calda sparò ugualmente: nacque una piccola battaglia durante la quale Garibaldi rimase ferito. Poi arrivò la resa». Fin qui il racconto è fedele a quello dei libri di storia nei quali, però, si dice che sono stati i bersaglieri a ferire il generale per evitare che guidasse l’assalto alla Roma papale. C’è anche il nome dell’uomo che avrebbe ferito l’eroe d’Italia nell’agosto del 1862: Luigi Ferrari, ligure di Castelnuovo Magra vicino La Spezia: «È stato lui a colpire il generale», confermarono i commilitoni. «E invece è impossibile che sia stato un bersagliere a ferire Garibaldi», racconta il professor Rispoli presentando la sua teoria davanti a un parterre di tutto rispetto, da Maurizio Scoppa, neo commissario della Asl Napoli 1 al giudice Raffaele Marino, a Luigi De Paola, direttore sanitario dell’ospedale degli Incurabili, sede del museo delle arti sanitarie dove si svolge l’incontro.Per dimostrare che quel colpo non è partito da una carabina dei bersaglieri, Rispoli mostra foto e rappresentazioni della battaglia dell’Aspromonte. Garibaldi e i suoi sono su un altopiano, i bersaglieri si trovano in basso: «Però il proiettile che ha colpito Garibaldi ha una angolazione precisa: foro d’ingresso in alto e percorso del proiettile che scende verso il basso», dice Rispoli.
E cosa significa? «Che evidentemente il colpo è partito dall’altopiano dove si trovavano i fedelissimi del generale». Pare incredibile il racconto. Ma il professor Rispoli presenta foto dello stivale del generale, rapporti ufficiali dei medici che lo operarono, radiografie eseguite postume sul corpo: tutto collima con il racconto. «Abbiamo messo assieme un pool di esperti, tutti napoletani, per proseguire lo studio: dal presidente del Ceinge Franco Salvatore al medico legale Antonio Perna, al consigliere Marino. Il prossimo passo sarà chiedere l’esumazione del corpo di Garibaldi per poterlo analizzare». C’è anche un particolare che conferma la nuova teoria: i proiettili dei bersaglieri pesavano 30 grammi, quello estratto dal malleolo del generale e tenuto nascosto dal figlio Menotti per decenni, ne pesa solo 22. Gli approfondimenti sulla vicenda proseguiranno nelle prossime settimane con incontri a Ischia e Procida durante i quali verranno mostrati altri documenti inediti e sono annunciate testimonianze importanti.
Per adesso la certezza è una «Garibaldi fu colpito da uno dei suoi. Erano ragazzini, poco esperti e desiderosi di combattere. Però c’è un altro mistero da chiarire: le pistole dei garibaldini riuscivano a colpire solo a distanza ravvicinata, 20 o 30 metri al massimo. Perché fu esploso quel colpo se i nemici si trovavano lontani più di trecento metri?».

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